lunedì 27 marzo 2017

MATERA: LA CITTÀ-DONNA DI DANTE MAFFIA

Tra le tante cose che mi legano a Dante Maffia non ultima è l’attrazione fatale per Matera e i Sassi. Immaginate, pertanto, con quale entusiasmo ho accolto questo suo recente poemetto, “Elegie materane”, che è l’ennesima dimostrazione del livello elevatissimo raggiunto dal grande poeta e narratore jonico; Carmine Chiodo lo annovera tra i sommi del Parnaso senza esitazione alcuna. Lo scorso dicembre a Roma, durante la presentazione a Più Libri Più Liberi, Dante ha letto personalmente molti versi coinvolgendo ed emozionando il folto pubblico e i critici presenti con accenti di travolgente intensità (tra i critici, oltre a Chiodo c’erano Cristiana Lardo, Francesca Vannucchi e Giorgio Taffon). La mitica Matera, col suo sapore ancestrale, costituisce l’ideale scenario elegiaco per l’eloquio lirico di Maffia. Il poeta vive in uno stato di permanente e completa libertà, guidato e protetto dalla sua Musa invincibile; si può permettere così di investire della sua furia Dio in persona, colpevole di non favorire il trionfo dell’amore e della bellezza, rivendicando con veemenza il primato della Poesia (“…ma avevo stabilito all’origine/ la precedenza dei poeti sulla bellezza”; “Ma devi dirmi che cos’è l’amore,/ non puoi sempre giocare o lasciar correre,…”). L’amore del poeta per la città-donna è sconfinato e grande è il suo terrore di perderla o, peggio, di vederla trasfigurarsi in direzione di un progressivo snaturamento; (“Matera è innocente, non merita lo scandalo del guaire,/la dispersione della sua storia. Il suo passato/ deve restare a vegliare la rincorsa/ e non nascondersi dietro angoli bui”). Dio non può chiamarsi fuori e Maffia è pronto a stigmatizzare il tranello del libero arbitrio: “Non l’hai creata Tu. Tu quando decidesti/ d’interrompere il silenzio millenario che ormai debordava/ per i campi del cielo e dentro le stoviglie della Tua mensa,/ affidasti all’uomo e alla donna il compito/ di concepire. Tu non hai concepito, non hai avuto azione/ per la sua venuta. O invece tutto è finzione/ e si ritorna sempre al medesimo guasto/ del libero arbitrio?”; e ancora: “Smetti di comportarti da padrone, d’aggrovigliarti nei simboli,/ cadere a peso morto nel bicchiere/ d’un qualsiasi avventore notturno che tracanna/cognac in piena notte.”, “…E ricordaTi che io amo diversamente da Te,/ che le mie cicatrici non sono guaribili,…”.
Il canto d’amore di Dante Maffia raggiunge vette sublimi quando evoca le suggestioni intrinseche al suo luogo natio: “Amare, amare, ci resta solo amare/ e non al modo in cui amano le tenebre/ abbracciando in un solo gesto sogno e realtà;/ amare, amare come amano le rose/ mentre sbocciano e mandano al cielo l’aroma sublime/ della loro frenesia; amare come si amano il mare e i fondali/ dello Jonio in continua lotta, abbracciati indissolubilmente./ Io l’amo così, io sono il fondale, lei le onde”.
Il linguaggio sempre più immaginifico di Dante regala versi destinati all’immortalità: “Quale la formula per riconoscere le albe dai tramonti?”, “Non siate certi della vittoria. Una battaglia non è la conclusione/ e il coro resti compatto a cantare in tutte le chiese.”, “Correre verso il baratro rinnova le tensioni,/ aggiusta il brivido coi colori della dissolvenza.”, “Dimmi tutte le bugie necessarie/ perch’io resti impigliato nelle barbarie luminose/ del Dubbio. E non spingermi sul vuoto, le vertigini/ hanno preso il sopravvento.”, “Misteriosi enigmi che diventano incestuosi dilemmi/ della luce e delle tenebre che fingono d’essere in lotta.”
Ma non è solo Dio a deludere il Poeta sconsolato, egli non intravede altresì soluzione terrena: “Le teorie sono alla deriva./ All’erta c’è chi geme/ sopra libri funesti, in ingorghi di postille e si dispera./ Non ci sono luoghi privilegiati/ per sfuggire alla tempesta delle metafore”.
In tale contesto nemmeno la natura riesce a delineare al poeta un quadro consolatorio, al punto che è costretto a registrare “l’assurda metamorfosi delle falene che non conoscono la prassi”, “le infingarde astensioni delle farfalle che non sanno più scegliere/ la stagione del canto e quella della morte” oppure “il mistero del maturo connubio di edere assatanate”.
Dove riporre la speranza allora? Dante non ha dubbi, sono i giovani la speranza. I giovani che “affermano la vita e basta,/ magari con intemperanze, ma sono nella vita,…”, quella vita che abbonda nella città di Matera “Matera ne ha tanta! Lei ne ha tanta” e il futuro è esclusivamente nelle sue mani.
Franco Arcidiaco
Dante Maffia, Elegie materane, Lepisma edizioni, 2016, pagg. 120, € 12,99



domenica 26 marzo 2017

ADDIO A MINO ARGENTIERI

Quando, nel dicembre del 2005, varcai la soglia della casa di Mino Argentieri a Roma ero emozionato come un ragazzino. Qualche tempo prima l'amico Paolo Minuto mi aveva parlato delle difficoltà in cui si dibatteva la storica rivista Cinemasessanta; il grande critico cinematografico Mino Argentieri, che l'aveva fondata e la dirigeva sin dal primo numero del 1960, non era più riuscito a difendere la sua creatura e la casa editrice Nuova Arnica aveva deciso di chiuderla. Presentai, con l'aiuto di Paolo, il mio piano editoriale a Mino che, dopo una pausa di riflessione breve ma severa, l'accettò. Da gennaio 2006 Cinemasessanta ha ripreso le pubblicazioni (www.cdse.it) con una nuova veste grafica ma sempre sotto la mano ferma e sicura del grande Mino. Sono stati anni entusiasmanti durante i quali ho capito che il termine "critica militante" non era un vuoto orpello scampato agli anni 60-70. Mino e la sua pattuglia di critici, appunto, militanti, hanno passato in rassegna la produzione di questi ultimi dodici anni con zelo professionale e con l'apertura mentale che è appannaggio solo dei grandi. Non sono stati anni facili, la distribuzione ci ha ignorato, la Feltrinelli ci ha ignobilmente tradito, ma per fortuna la FICC, Federazione Circoli del Cinema, e lo zoccolo duro degli abbonati, con in testa le storiche biblioteche italiane e le grandi Università, hanno continuato a credere in noi. Quando la malattia inesorabilmente lo ha aggredito, Mino è stato semplicemente eccezionale; non ha mollato un solo istante e, nelle lunghe telefonate, dopo avermi raccontato minuziosamente il decorso clinico del suo male, mi parlava dei film che aveva visto e imprecava contro le leggi restrittive dei governi nel campo della cultura, che mettevano a repentaglio anche il patrimonio librario dell'altra sua creatura, la Biblioteca del Cinema Umberto Barbaro. Raccoglieva tutti gli articoli dei collaboratori e li selezionava e correggeva con scrupoloso rigore. Non avendo ceduto alle sirene digitali si serviva di un "service sottocasa" che trasmetteva gli articoli alla nostra tipografia. Quattro giorni fa Mino se ne è andato, alla soglia dei 90 anni, lasciando sola l'amatissima Anna, alla quale va il mio forte abbraccio, e orfani tutti noi appassionati di cinema. Cinemasessanta però non morirà, è nostro dovere continuare a sostenerla nel suo cammino per onorare il lavoro e il pensiero di Mino Argentieri che è stato uno dei più grandi critici cinematografici italiani.
Franco Arcidiaco

giovedì 9 marzo 2017

IL PADRE D'ITALIA di FABIO MOLLO

Grande film! Bravo Fabio Mollo alfiere del cinema italiano, che ha realizzato un urban-film moderno e coinvolgente, coraggioso ed anticonformista. Grande prova di due attori straordinari, Luca Marinelli e Isabella Ragonese, ottimi montaggio e fotografia. Adoro l'approccio di Fabio verso la nostra terra: affettuosamente impietoso.
Franco Arcidiaco